Piuarch: intervista allo Studio di Milano - ISPLORA
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Piuarch: l’architettura delle relazioni

Architetti

Il valore del progetto nel confronto con la preesistenza, l’ambiente circostante, gli attori del processo e con il futuro.

La redazione di ISPLORA ha avuto la possibilità di incontrare e fare alcune domande allo studio Piuarch, un modo per conoscere direttamente il loro lavoro e la loro pratica progettuale. Lo studio, fondato nel 1996 da Francesco Fresa, Germán Fuenmayor, Gino Garbellini e Monica Tricario, si occupa di architettura, spaziando dalla progettazione di edifici per uffici, al retail, sino allo sviluppo di complessi residenziali, interventi di recupero per la cultura e di rigenerazione urbana, con una costante attenzione ai valori di qualità ambientale e di relazione con il contesto.

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Fortemente radicato in Italia e alla cultura progettuale italiana, Piuarch ha saputo ritagliarsi un riconoscimento a livello internazionale grazie alla collaborazione con alcune delle maggiori maison di moda internazionali, tra cui Dolce&Gabbana, Gucci, Fendi e Givenchy, oltre alle sperimentazioni progettuali in concorsi internazionali e ad esperienze di architettura sociale. Lo studio, insignito del premio “Architetto Italiano dell’anno 2013” e di due Medaglie d’oro per Menzione d’Onore alla Triennale di Milano, è stato più volte esposto alla Biennale di Architettura di Venezia e ha ottenuto numerose pubblicazioni e monografie dedicate.




Potete raccontarci come è nato il vostro studio? Quali sono i vostri universi di riferimento, le vostre origini e la formazione? Oggi come si struttura il vostro studio (componenti studio, approccio, ecc.)?

Ci siamo conosciuti nei primi anni Novanta quando lavoravamo insieme nello studio di Vittorio Gregotti. Quattro diversi background si sono incrociati creando un unicum complementare. Francesco Fresa, romano d'origine, ha studiato alla Berlin School of Architecture; German Fuenmayor, venezuelano, ha studiato a Caracas e Milano; Gino Garbellini, originario della Valtellina, ha studiato ingegneria al Politecnico di Milano; qui ha studiato anche Monica Tricario, ma architettura.

Le nostre personalità si sono incontrate focalizzandosi su una visione comune, che ha come cardini della propria progettazione la comprensione del contesto urbano, avendo cura delle sfaccettature culturali, sociali e artistiche dello stesso, ma anche la contaminazione con altre discipline. Questo aspetto rivela molto del nostro lavoro, che trova continui riferimenti nella natura, nella cultura, nella musica, nell'arte e nella storia dell'urbanistica. Da un gruppo di quattro, siamo ora quaranta professionisti nel nostro studio di Brera. Qui, sotto il coordinamento di noi soci e dei nostri associati, sviluppiamo i progetti in gruppi di lavoro che creano sinergie diverse a seconda delle personalità che li attraversano, sempre ricercando il confronto e l'attenzione al dettaglio.

Nel raccontare i vostri progetti spesso utilizzate plastici, schizzi e immagini evocative, potreste raccontarci qualcosa in più del processo compositivo che sta dietro ai vostri progetti? Quali riferimenti e linguaggi mettete in campo?

Il processo compositivo si nutre delle nostre diverse formazioni professionali, forgiate anche da altri ambiti come quello culturale e politico-sociale. Noi e i nostri collaboratori abbiamo provenienze diverse, anch'esso aspetto prezioso al fine di favorire un confronto continuo e stimolante, che dà un valore aggiunto al processo di progettazione. I riferimenti a cui attingere diventano così molteplici e influenzano l'operato, creando un rapporto osmotico fra i nostri background e il progetto su cui si sta lavorando. Pur non avendo una cifra stilistica codificabile, il linguaggio che si riflette di sovente nel nostro lavoro è quello artistico ispirato ai movimenti del XX secolo, dall'astrazionismo geometrico al cinetismo.

Dalle vostre architetture emerge con forza il rapporto con il contesto, fisico e culturale, dalla dialettica con il paesaggio (Latteria Sociale Soresina) a quella con il tessuto costruito (l’edificio di Porta Nuova a Milano), fino ai richiami alla Sicilia di Dolce & Gabbana o al segno sartoriale distintivo di Givenchy. Come potreste definire questo rapporto sempre diverso per ogni progetto?

Crediamo che l'unicità di ogni progetto sia dovuta all'ambiente circostante e alle preesistenze con cui ci confrontiamo. Dall'analisi e ricerca iniziali si diramano diversi spunti, influenzati da riferimenti estrapolati sia dal contesto culturale che dal nostro vissuto, come anche, ed è il caso degli edifici realizzati per la moda, dall'identità del brand con cui ci troviamo a collaborare. Proprio la collaborazione con la committenza, soprattutto nelle fasi di ideazione del progetto, permette di progettare edifici contenitori capaci di valorizzare lo spirito dell'azienda senza compromettere la nostra mission, ma trovando il giusto equilibrio fra i due diversi linguaggi.




Necessitano di un metodo ancora diverso le partecipazioni ai concorsi, attività importantissima per la nostra professione, sia come esercizio di lavoro, sia per le possibilità di intervento che danno. Infatti sono una grande occasione di confronto con se stessi e con altri studi di architettura, e avendo requisiti precisi obbligano a un approccio molto accurato, come anche ad affinare la capacità di comprendere le esigenze e trasmetterle nella progettazione. Danno anche l'opportunità di mettere in campo i diversi saperi del nostro team, da quelli strettamente progettuali di architetti e ingegneri, fino all'interior e al graphic design, assicurando una continua crescita professionale.




Lungo la vostra produzione architettonica avete dato molto spazio ad esplorazioni e a sperimentazioni in merito al tema della rigenerazione urbana, dalla riconversione di spazi industriali come il Gucci Hub ai moduli “collettivi” degli spazi pubblici sviluppati da Espaço a San Paolo del Brasile. Cosa vuol dire per il vostro studio sviluppare questi progetti? Quali gli obiettivi e i risultati attesi?

Siamo sempre più affascinati da una progettazione che parta dal recupero e dalla rivalorizzazione degli edifici, proprio per l'attenzione e la cura che prestiamo alla riqualificazione degli spazi urbani e loro nuove destinazioni. Per quanto riguarda le installazioni come Espaço, crediamo molto nella valenza sociale ed educativa di questi progetti, che hanno dimostrato di essere efficaci in termini di community engagement.




In questo caso specifico, è interessante osservare l'eredità del progetto, che ha garantito l'empowerment dei fruitori dello stesso. Infatti i bambini sono diventati padroni dello spazio oltre che primi beneficiari, dandogli molteplici forme, utilizzi e assicurandone una continuità in futuro.I feedback positivi hanno garantito uno sviluppo del progetto in altre aree della città di San Paolo per volontà del direttore delle infrastrutture urbane della città.

Avete realizzato progetti in diverse parti del mondo, lavorando a diverse scale, da quella minuta degli allestimenti alla scala dei grandi edifici urbani, senza mai perdere il rapporto con la “dimensione delle cose”, mettendo in scena temi sempre diversi e costruendo sempre con un’attenzione ai materiali e ai dettagli. Questo fa parte di quella che voi definite come “artigianalità” o vi sono altri aspetti che considerate fondamentali? Ad esempio il rapporto con la committenza, anche considerando che molti dei vostri progetti sono legati a grandi case di moda?

Ci sono diversi fattori che concorrono alla buona riuscita di ogni nostro progetto. L'“artigianalità” si esprime nella nostra attenzione al dettaglio, nei disegni a mano libera e nella grande manualità impiegata per la realizzazione dei plastici. Parlando di materiali invece, siamo sempre alla ricerca di nuovi materiali e nuovi utilizzi, proprio per l'assenza di una cifra stilistica anche in questo senso. Spesso scegliamo materiali naturali come la pietra e il legno, a volte grezzi, altre pregiati. Soprattutto ci interessa come un materiale entri in relazione con la luce, da qui il grande impiego di superfici vetrate e metalliche, per creare una luminosità cinetica e unica negli interni.

Altro aspetto fondamentale sono le relazioni in senso lato, sia con luoghi e immagini evocative, che con le persone. Crediamo nell'importanza di creare uno scambio personale oltre che professionale, che incida positivamente sulla qualità dei progetti. Una relazione che si esprime sia nella collaborazione con tutti gli attori che vi contribuiscono (aziende costruttrici, fornitori, consulenti ecc), sia nel rapporto con la committenza. Questo ci consente di lavorare sempre mantenendo un alto livello qualitativo con grande attenzione al dettaglio costruttivo.




Cosa vi aspettate per il vostro studio nel 2019? Vi sono dei progetti in cantiere o che stanno per essere ultimati (Fabbrica Fendi in Toscana e Complesso Unicredit a Milano)?

Ci sono diversi progetti in cantiere, sia in senso letterale che metaforico. Alcuni sono ancora solo su carta, altri in costruzione, come il Collegio di Milano e il Congress Centre a Riva del Garda, quest'ultimo vedrà la sua realizzazione dopo una lunga attesa di undici anni. L'auspicio per il 2019 è di continuare a lavorare su progetti di larga scala sempre con l'ambizione di collaborare con grandi enti e aziende sia internazionali che locali, cercando di mantenere un virtuoso equilibrio fra alta qualità di progettazione e valore ambientale e sociale. 

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