“Architettura è anche giocare, giocare perché è un mestiere che ti aiuta a trovare nuovi orizzonti, a trovare nuove passioni. È un mestiere dove la creatività insieme alla tecnica costruiscono un racconto che ti porti dentro e che desideri trasmettere attraverso il tuo disegno.”
L’ottava ArchiTALKS racconta la visione progettuale dell’architetto Pietro Carlo Pellegrini attraverso la pratica del “costruire sul costruito”, il concetto di riuso e del recupero attraverso un progetto attento e spesso minuto.
Mi ricordo un film straordinario girato a Roma in un palazzo di un principe dove gli attori Marcello Mastroianni, Gassman e tanti altri interpretavano la parte dei fantasmi. Questi fantasmi giravano all'interno di sale straordinarie e raccontavano, a coloro che dovevano acquistare il fabbricato, questo vecchio palazzo. Si sentiva il distacco di queste persone che, forse, non ascoltavano quello che loro raccontavano perché non c'erano più, erano scomparse. Ecco, bisogna riuscire a ascoltare, a capire i palazzi antichi. L'antichità e la città ti raccontano queste cose, basta avere questo interesse, toccare i muri e capire come poi puoi intervenire.
La lezione muove dai cenni biografici e dall’esperienza lavorativa dell’architetto Pellegrini, la cui produzione è influenzata da molteplici suggestioni: dalla storia al paesaggio toscano, passando per il cinema – neorealista –, il teatro e la scenografia.
Mi fanno paura le persone che hanno, nel mio mestiere, sempre lo stesso modo di procedere, sempre la stessa idea e la stessa realizzazione. Non la vedo come una sicurezza nel lavoro ma più che altro un’insicurezza nel progetto. Sempre di più io vedo un valore nel nostro paese, nella nostra Italia, a differenza anche di altri paesi, il valore è il regionalismo per me. Cioè penso che l’Italia, che è composta da molte regioni, dai molti caratteri e paesaggi che provengono da queste regioni, questo è importante nell’architettura.
Gli spazi interni dei palazzi storici di Lucca, disegnati da affreschi, pavimenti dipinti in cotto, e altri dettagli, raccontano un’eleganza nascosta. La curiosità di scoprire questa bellezza avvicina l’architetto al tema della conoscenza che, insieme a importanti riferimenti architettonici come gli interventi pisani di Massimo Carmassi o le azioni di recupero dei “maestri” come Gardella, Albini, Canali e Scarpa delineano la personale interpretazione e messa in opera dell’architetto Pellegrini.
Tornando al tema del costruire sul costruito, ho sempre guardato con interesse l'architettura degli anni cinquanta italiana. Penso, per esempio, a un grande architetto come Gardella che nelle sue “case Borsalino” in un edificio che doveva accogliere gli impiegati della Borsalino, ha costruito un edificio con una grande dignità architettonica e intellettuale. Lo stesso penso ad architetti come Franco Albini, che nella sede della Rinascente a Roma in piazza Fiume, è riuscito a raccontare uno spazio commerciale come un edificio, per certi aspetti, rinascimentale nelle sue forme di semplicità. Poi andando avanti trovi le architetture di Guido Canali nel riuso del complesso della Pilotta a Parma per il rispetto e per l'attenzione al dettaglio e, prima di lui, Carlo Scarpa a Castelvecchio a Verona.
Guarda subito l'ArchiTALKS di Pietro Carlo Pellegrini
L’espressione “costruire sul costruito” è il cardine della ricerca e della produzione dell’architetto Pellegrini, caricandosi di una pluralità di significati: non è soltanto come recupero o innesto sull’esistente, ma come l’impostazione di un dialogo con il contesto, con la storia e con il lavoro degli altri anche nella costruzione ex-novo.
La buona pratica è quella, come dicevo, di lavorare e capire l'edificio, quindi conoscerlo, e questo lo puoi fare attraverso il rilievo architettonico. Poi ci vuole la ricerca storica, che ti fa conoscere le trasformazioni che questo edificio ha avuto nel tempo. Queste due cose unite insieme ti portano a tracciare le linee guida che ti accompagnano attraverso il racconto ma anche attraverso i vincoli. Quando lavori su un nuovo edificio, sulla nuova costruzione, il tema è sempre la conoscenza: dove sei, dove puoi lavorare, cerchi dei riferimenti, dei vincoli che sono più che altro dati dall'utilizzo dei materiali che vuoi far conoscere attraverso il tuo progetto. Perché molte volte nel nostro territorio, anche il nuovo lavora sul costruito.
Un approccio metodologico adattivo, caratterizzato da una profonda conoscenza dell’edificio, dei materiali e del processo di costruzione, del contesto e della storia per fondare l’intervento su dei “vincoli” esistenti. La rassegna progettuale affrontata dall’architetto Pellegrini nella lezione mostra come Lucca significhi “casa” ma anche “palestra” per la sua progettazione, grazie agli esempi dei progetti del Museo della Cattedrale o gli interventi per il Monastero di Santa Gemma:
Ho concepito lo spazio dedicato all’accoglienza, all’interno del complesso del Monastero, come un piccolo chiostro protetto dove chi entra è immerso in una sensazione di pace ed è isolato rispetto alla periferia circostante. I materiali a vista sono il mattone, l’intonaco e il marmo. Nella casa di accoglienza è l'intonaco il materiale principale, un esplicito riferimento a l'osteria del gambero rosso di Michelucci a Collodi perché è un intonaco grezzo, dove la grana della sabbia è molto grossa. Se nel chiostro il materiale privilegiato è il mattone nell'ossario, invece, è il travertino di Rapolano, un travertino meno bianco di quello di Tivoli. Perché sono presenti tre materiali diversi? Perché per ogni luogo è nata questo ragionamento pensando alla forma, alla funzione e a quello che doveva venir fuori.
Il racconto dei luoghi “del meditare” si interseca con quelli “del mostrare” e “dell’abitare” attraverso gli esempi del Museo del Fumetto, la Fondazione Giuseppe Lazzareschi, il Memoriale Garibaldi a Caprera, l’Ex Fornace Piva a Riccione, il convento di San Domenico a Canicattì e i molti interventi residenziali nel Lucchese.
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Se da un lato ad emergere è una prassi del mestiere dell’architetto, fondata sul riuso, dall’altro viene in luce la capacità d’ascolto come disposizione essenziale per imparare e migliorare il proprio approccio al progetto.
Architettura come “gioco”, un gioco serio, un mestiere che nel futuro dovrebbe occuparsi sempre più di soluzioni a problematiche esistenti legate al tema della ricostruzione, dell’accoglienza e dell’ambiente.
L'architettura ritengo che sia una cosa seria per poter far vivere bene le persone. La bellezza serve a far star bene e questo deve essere uno dei principi importanti all'interno del nostro lavoro, perché la bellezza in uno spazio didattico, in una scuola, aiuta chi è il suo interno. La bellezza in uno spazio di sofferenza in un ospedale aiuta chi è al suo interno. […] Come ho iniziato, concludo, nel senso che per me architettura è giocare: giocare è allegria, è vivere, è raccontare e se uno riesce a fare queste cose con felicità, architettura è bella e quindi architettura è gioco.