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La cittadella della cultura di Bologna compie 5 anni: l'idea progettuale di diverserighestudio per la riconversione di uno spazio industriale
A distanza di quasi 5 anni dall’inaugurazione dell’Opificio Golinelli sono più di 300.000 i visitatori e più di 500.000 le ore di formazione erogate nella cittadella per la conoscenza e la cultura della città di Bologna. Un luogo dove arti e scienze, scuola, impresa, ricerca e alta formazione trovano spazio, collaborando al fine di creare un ecosistema aperto costituito sui temi della formazione, del trasferimento tecnologico e della promozione.
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La Fondazione Golinelli è alla base di questo processo, un ponte fra arti e scienza che ha sede in una struttura di nuova concezione, all’interno di un edificio dal passato industriale, progettata da diverserighestudio, lo studio bolognese fondato dagli architetti Simone Gheduzzi, Nicola Rimondi e Gabriele Sorichetti. Il progetto aveva come fine ultimo l’educazione alla componente scientifica dell’arte e all’intuizione artistica della scienza, esaltandone le assonanze in un'ottica di implementazione del pensiero creativo.
Alla base del lavoro di diverserighestudio troviamo la domanda Di che colore è un confine? Un incipit che porta alla comprensione, o meglio alla ricerca, delle soluzioni architettoniche che permettono di considerare "la soglia" come un sistema trascendentale.
I temi della creazione del limite e dell’apertura nel progetto di diverserighestudio
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Architettura, in questo senso, può significare “creazione del limite”, “disegno del confine”. Tale confine ha la caratteristica di poter accogliere il movimento, di esaltare le differenze o di annullarle. L'Opificio è stato pensato, dunque, come metafora della città in cui tutte le attività assumono la forma di contenitori ideali, icone di edifici simbolo del tessuto urbano e della sua vitalità come il Municipio, la Scuola ed il Cantiere. Infine, lo spazio pubblico atto ad accogliere attività polifunzionali, supporto di socialità in cui si posizionano i servizi comuni.
Aprirsi e connettere come mosse progettuali per riqualificare un edificio industriale esistente, l’Opificio, dove trovano spazio nuove forme e funzioni, innovative modalità di lavoro e di scambio.
Il tema dell’apertura e di un edificio e di un pensiero “open” si struttura attraverso tre principi generatori:
- La strategia del non finito: prevede la non occupazione di tutta la superficie interna disponibile permettendo all'Opificio di essere flessibile nel tempo non essendo prevedibile ora il suo sviluppo;
- Il paradosso architettonico: si vuole contrapporre alla visione dello studio scientifico, abituato ad utilizzare strumenti che permettono di ingrandire un elemento particolare, infinitamente piccolo, ad una visione più concettuale, verso il cielo, infinitamente grande;
- La sinestesia architettonica: ci si è immaginati un'architettura che oltre a essere contenitore ideale per lo studio e la ricerca potesse essere supporto ideale per l'esposizione artistica, soddisfacendo simultaneamente due esigenze educative.
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Uno spazio industriale rigenerato che diventa terreno fertile per la sperimentazione scientifica e l’innovazione sociale sotto la guida e il lavoro di promozione della Fondazione Golinelli, una fondazione basata sul modello della filantropia americana e un riferimento per tutto il territorio. Lungo questo alveo si situa l’intervento progettuale di diverserighestudio:
La nuova sede costituisce in primis un’operazione culturale di portata nazionale e Fondazione Golinelli, in virtù dell’importante opera di riqualificazione di un’area di 4.500 metri quadrati coperti e altrettanti scoperti, desidera aggiungere un ulteriore significato a quest’opera, come contributo verso un “territorio metropolitano policentrico” a testimonianza del fatto che sia possibile iniziare ad abbattere le barriere culturali ancora prima di quelle architettoniche, per un collettività più coesa.
Opificio Golinelli: aspetti progettuali e costruttivi
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Un lavoro di ridefinizione che coinvolge anche gli aspetti progettuali e costruttivi, infatti, l’Opificio è stato realizzato in Classe A, consumando poca energia grazie ad un intervento sull’involucro esistente e un controllo dell’irraggiamento solare. Particolare attenzione è stata data anche agli aspetti impiantistici, con pompe di calore ad alto rendimento, acustici e di recupero delle acque piovane. Inoltre, le tinte esterne dell'edificio sono realizzate con pigmenti foto-catalitici che se esposti alla luce del sole “disgregano” le particelle inquinanti presenti sulla superficie. Una nanotecnologia che permette di migliorare la qualità dell'aria e di mantenere le pareti pulite.
La scelta dei materiali è conseguente al desiderio di realizzare un luogo adatto per i giovani, pertanto la parte di nuova costruzione è stata realizzata "a secco", lasciando la possibilità di poter modificare o ricollocare in altro luogo le parti di nuova costruzione. I materiali sono lasciati a vista per come sono, scelti, disposti e organizzati al fine di svolgere in sé la valenza estetica e materica, come rappresentazione della città del futuro, senza ricorrere a mimetismi o elementi di finitura che ne possano occultare la natura o negare l'origine produttiva.
L'Opificio, nel progetto di diverserighestudio, è un esempio di come i luoghi industriali possano essere terreno fertile di sperimentazione e innovazione sociale, di attività partecipate alternative e inusuali. Una lettura e una re-interpretazione degli spazi in disuso e più in generale del termine “stato di abbandono” attraverso l’esistente, riutilizzando quello esiste già nelle città.
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Dati del progetto
- General contractor: S.A.P.A.B.A. + Coop Costruzioni
- Strutture in acciaio: Alfa Metal
- Strutture in legno: Posatori Franciacorta
- Arredi integrati: Arredo Uno
- Impianti: Uragani impianti
- Pompe di calore e VMC: Mitsubishi Electric
- Illuminazione: Zumtobel
- Infissi: Schuco
- Pareti vetrate: Vetreria di Bologna
- Policarbonati: Rodeca
- Pavimentazioni: Liuni + Odorizzi Porfidi + Gazzotti
- Sistemi a cappotto: Ivas
- Lattonerie: Isocaf
- Verde: Arcadia Impianti
- Tende: Nyx
Foto: Giovanni Bortolani