L'AIA risponde a Trump - ISPLORA
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L’AIA guarda al futuro

Territorio

L'American Institute of Architects (AIA) ha rilasciato ieri una risposta al potenziale ordine esecutivo che potrebbe costringere tutti i futuri edifici federali ad essere progettati in stile neoclassico.

Nella notizia di ieri di Architectural Record, emergeva la volontà da parte della comunità d’architettura di avere accesso al documento di bozza d’ordine da parte della Casa Bianca attraverso il quale il Presidente enuncia i Principi Guida di una “Architettura Federale” volta ad uno stile rappresentativo, singolare ed unico. In quest’ordinanza, il Neoclassicismo – stile architettonico scelto a suo tempo dai padri fondatori per il Campidoglio degli Stati Uniti – diventerebbe lo stile “preferito e predefinito”. Tutti i futuri edifici governativi dovrebbero ricordare la monumentale costruzione bianca che ha definito l’immagine politica di Washington DC sin dal suo inizio, così come accadeva nell’antica Roma e in Grecia. 

Su Twitter, l'organizzazione ha respinto la proposta dell'amministrazione Trump, affermando:
 L'AIA si oppone fermamente a mandati di stile uniforme per l'architettura #federale. L'architettura dovrebbe essere progettata per le comunità specifiche cui serve, riflettendo i diversi luoghi, pensieri, culture e climi della nostra ricca nazione. Gli architetti si impegnano a onorare il nostro passato, come a riflettere i nostri progressi futuri, proteggendo la libertà di pensiero ed espressione, essenziali per la democrazia.
Il titolo della bozza d’ordinanza recitava “Make Federal Buildings Beautiful Again”, con tono quasi ironico, a giudizio dell’evoluzione della disciplina architettonica avvenuta fino ad oggi. A rinnegazione di una memoria del presente e di una fiducia verso il futuro.

La tradizione è sintomo di bellezza”, sostiene l’ordine; il modernismo (specialmente il brutalismo ed il decostruttivismo) è quanto di più lontano dai canoni estetici riconoscibili. Numerosi gruppi amanti del classicismo approvano la proposta. Su Twitter, diversi account hanno chiesto all'AIA di mostrare i suoi "colori veri", accusando l'organizzazione di essere contraria a "bellezza e tradizione". 



Architettura e potere

L’architettura del potere da secoli innumerevoli plasma e definisce i luoghi, assumendo un ruolo fondamentale nella creazione non solo di singoli oggetti architettonici, ma anche, più ampiamente, nella scrittura di interi brani di città. In questo senso, non è raro che i governi impongano uno stile architettonico di riferimento volto ad indicare l’autorità. Inutile, naturalmente, citare casi emblematici in cui la tensione socio-politica si è resa scenario brutale attraverso l’opera architettonica, come quello di Albert Speer per il Nazionalismo tedesco agli inizi del Novecento.  

A questo proposito, durante l’intervista con Fast Compani, Steven Heller – copresidente del programma di progettazione MFA presso la School of Visual Arts – sostiene che:

quando uno stile di design è collegato a un atto di decreto presidenziale, in particolare ad un presidente che mostra tendenze autoritarie, allora c'è motivo di allarmarsi. Tendiamo a ignorare le sfumature del potere, come gli stili di grafica e architettura, fino a quando non è troppo tardi.

Proprio il tema del tempo apre un ampio dibattito culturale che rimanda immediatamente al ruolo socio-politico dell’architettura che, ben al di là dall’essere un insieme di oggetti inscritti in uno spazio, ricopre una posizione significativa nell’espressione tangibile di un popolo. L’architettura, figlia del tempo hegeliano, dovrebbe avere “diritto e dovere” di conformarsi seguendo non solo le necessità dell’epoca entro cui scrive il proprio racconto, ma anche – e forse soprattutto – di rispettare le tracce del passato e, contemporaneamente, intercettare il cambiamento che ogni società fa tangibilmente susseguire, capace di rendersi pioniera di un’innovazione consapevole e coerente

In un momento in cui si pongono domande frenetiche e si cercano risposte (altrettanto frenetiche) riguardo una possibile tensione verso un’identità ideologica, c’è da chiedersi – forse più criticamente – se la ricerca di quest’identità non stia diventando troppo bramosa; talmente avida da rischiare di sconfinare in un’ossessione, ove lo sguardo viene rivolto esclusivamente al passato, alla (presunta) tradizione e non al presente. Un presente che rischia di danneggiare il domani. Un presente che, invece, meriterebbe un maggiore margine di espressione. Un presente capace di volgere il proprio sguardo al futuro.

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